A settembre 2025 si è tenuto ad Assisi il convegno “La Rete delle Città di Carta“ – organizzato da Comieco (Consorzio Nazionale per il Recupero ed il Riciclo degli Imballaggi a base Cellulosica) e Symbola (Fondazione per le Qualità Italiane) e sostenuta dalla Federazione Carta e Grafica e da Unirima (Unione Nazionale Imprese Recupero e Riciclo Maceri) – per promuovere l’Istituzione della Giornata Nazionale del Riciclo della Carta.
Il Presidente di Unirima, Giuliano Tarallo, è intervenuto, illustrando alcuni elementi essenziali per il settore del riciclo carta, partendo proprio dalla storia di questo importante materiale che si intreccia con i fondamenti dell’economia circolare.
Come ha spiegato Giuliano Tarallo, la storia della nascita della raccolta e commercializzazione della carta può suddividersi a sua volta in tre racconti, caratterizzati da periodi storici distinti e da culture diverse che hanno conosciuto questa tipologia di materiale e hanno iniziato a produrla e a utilizzarla nei propri centri urbani.
Riportiamo di seguito il discorso integrale: (consultabile a questo link)
Introduzione
Per spiegare chi siamo devo partire da molto lontano, ma è necessario soprattutto per capire quali sono gli elementi che la nostra categoria ritiene sia essenziale coltivare per continuare a prosperare nel futuro. Quindi vi racconterò tre brevi storie.
La prima è la storia dell’espansione della carta dalla Cina all’Italia
La carta nasce in Cina circa duemila anni fa, come strumento prezioso per la registrazione degli atti (e la produzione di opere d’arte) della amministrazione e della corte imperiale.
La filiera che la compone è piuttosto corta con ruolo forte della burocrazia imperiale accanto a manifatture private:
∙ coltivatori di fibre (gelso, canapa, bambù; in misura minore scarti tessili e reti da pesca),
∙ cartiere che trasformano le fibre per produrre fogli di carta,
∙ amministrazione e corte imperiale che consumano i fogli di carta.
Dal mondo cinese la carta si espande al mondo islamico
Tra l’VIII e il XIII secolo la tecnologia si sviluppa in centri come Samarcanda, Baghdad, Damasco e Il Cairo. Qui ci troviamo di fronte a condizioni ambientali diverse: mancano le fibre vergini disponibili in abbondanza nell’impero cinese. Allora il processo viene innovato e si comincia a fare largo uso di stracci di lino e canapa raccolti nei sūq (i mercati urbani), sotto la supervisione del muhtasib (l’ispettore dei mercati).La filiera rimane legata alle realtà urbane ed è regolata dall’alto (sūq con muhtasib), con piccole produzioni al servizio di corti, scuole e amministrazioni:
∙ operatori che raccolgono nei mercati,
∙ cartiere che trasformano le fibre per produrre fogli di carta,
∙ amministrazione del califfo e scuole coraniche che consumano i fogli di carta.
La carta era conosciuta in Europa come prodotto di pregio proveniente dall’oriente: per esempio la cosiddetta carta damascena (di Damasco). È naturale quindi che in Andalusia ci siano le primeattestazioni di cartiere sul territorio europeo, nella città di Xàtiva, nella Spagna dominata dalla cultura araba. Il contesto economico in cui fiorisce questa cartiera è del tutto simile a quello che si ritrova negli altri grandi centri urbani orientali (mercato da cui origina la materia prima, cartiera e amministrazione e scuole coraniche che consumano).
Poi, dal Trecento al Quattrocento, accade un fatto sorprendente: l’Italia, senza piantagioni dedicate e senza mercati centralizzati, diventa il cuore dell’industria cartaria europea: Amalfi, Fabriano, Venezia e la Toscana. Una costellazione di cartiere si sviluppa, fiorisce e rifornisce di carta il continente europeo facendo progressivamente della carta un sempre più valido sostituto della costosa pergamena (ottenuta da pelli di animali come pecore o capre, secondo una tecnica perfezionata nell’antica città di Pergamo, in Anatolia, come alternativa al fragile papiro egizio).
Come l’Italia sia riuscita in un’impresa così fantastica è la seconda storia
In poche parole questa impresa è stata resa possibile grazie ai cenciai ma, sempre in poche parole, la cosa più sorprendente è che i cenciai esistono ancora oggi: siamo noi, la categoria che ho l’onore di rappresentare.
Il tessuto sociale ed economico del nostro Paese in quell’epoca era eccezionale. Accanto ai grandi mercanti-banchieri che finanziavano perfino governi e Stati centrali, le città italiane pullulavano di una pluralità di piccole e medie imprese artigiane e commerciali, riunite in corporazioni. Tra queste c’era la corporazione dei cenciai: una delle più diffuse e capillari, tanto da lasciare tracce ancora oggi nella toponomastica delle nostre città, con vie e piazze a loro dedicate.
I cenciai erano artigiani e commercianti che raccoglievano, selezionavano e rivendevano stracci,trasformandoli in materia prima per le cartiere, dentro un vero e proprio mercato. Era un modelloradicalmente diverso da quello orientale, eterodiretto dalle amministrazioni del califfato. In Italiala raccolta degli stracci non dipendeva da un ordine dall’alto, ma trovava in sé stessa le ragioni della propria sussistenza ed autonomia.
In sintesi: mentre in Cina e nel mondo islamico i soggetti indipendenti erano solo due (cartiere econsumatori), in Italia diventano tre. I cenciai si aggiungono come nuovo attore economico, trasformando lo straccio non solo in semplice materia prima, ma in oggetto di commercio autonomo, con un proprio valore e con specifiche regole negoziali.
Non è proprio in questo terzo soggetto che si incarna l’idea stessa di economia circolare? E perché questo è accaduto proprio in Italia?
Come questo sia stato possibile proprio in Italia è la terza storia
I cenciai e le cartiere facevano parte di un più ampio tessuto sociale ed economico che fu capace di esprimere l’Italia dei Comuni e del Rinascimento. I fattori che resero possibile lo sprigionarsi di tanta energia e capacità innovativa sono molteplici ma sicuramente una parte importante di tutta questa storia nasce proprio ad Assisi.
L’Europa medievale aveva un rapporto conflittuale con il denaro e l’impresa. La ricchezza era vista con sospetto, l’accumulazione come peccato e il denaro come “sterco del demonio”. In un simile contesto, lo sviluppo di un tessuto imprenditoriale autonomo era quasi impensabile.
Fu proprio il pensiero francescano a scardinare questa visione. Teologi e filosofi come Pietro di Giovanni Olivi operarono una distinzione fondamentale: una cosa è il capitale usato a fini di usura, che arricchisce solo chi presta il denaro e in ultima analisi impoverisce la società; un’altra è il capitale prestato in cambio di un giusto compenso tale per cui il nuovo valore che genera può rimanere in parte anche in chi lo ha generato.
Olivi introdusse un’idea rivoluzionaria: il capitale è come un seme. Se rimane fermo, marcisce. Ma se viene affidato a mani capaci, a qualcuno che lo sa coltivare, genera nuovi frutti che arricchiscono l’intera società.
Olivi, in sostanza, stava legittimando eticamente il concetto di investimento produttivo, distinguendolo dall’usura sterile. Stava gettando le basi per un capitalismo etico e diffuso, basato sulla fiducia e sulla capacità di generare valore condiviso.
Questa non era solo una teoria astratta. Da questa visione nacquero istituzioni concrete come i Monti di Pietà, promosse proprio dai francescani. Non erano banche nel senso moderno, ma furono tra le prime grandi istituzioni europee di credito caritatevole organizzato su larga scala, pensate per dare accesso al capitale a quella classe di artigiani e piccoli commercianti – proprio come i nostri cenciai – che altrimenti ne sarebbe stata esclusa.
Ecco il cuore del miracolo italiano: una rivoluzione culturale che legittimò l’impresa e creò gli strumenti finanziari per sostenere un’economia policentrica e generativa, basata non sul comando dall’alto ma sulla fiducia e sull’iniziativa dal basso.
E c’è un ultimo, decisivo tassello. Per far funzionare questo sistema, per capire se il “seme” del capitale stesse dando buoni frutti, serviva un metodo di misurazione oggettivo. E fu un altro frate, il francescano Luca Pacioli, che codificò e diffuse il metodo della partita doppia, facendone un linguaggio condiviso di trasparenza: il linguaggio standard per misurare la capacità di un’impresa di creare valore.
Anche noi oggi abbiamo bisogno di un consenso sociale che si costruisce mostrando alla societàcome il nostro sistema nel suo complesso, nella sua circolarità, ritorna alla società più di quello che ha preso.
Come allora serviva la partita doppia per distinguere chi faceva fruttare il capitale da chise ne appropriava o lo disperdeva, così oggi serve una contabilità ambientale e sociale che misuri la sostenibilità delle nostre imprese complessivamente.
Senza consenso sociale non c’è possibilità di sviluppo durevole e la fiducia nasce dalla misurazionepubblica dei risultati. Per questo riteniamo così importante e sosteniamo l’istituzione della GiornataNazionale del Riciclo della Carta.
Oggi ricicliamo la carta recuperando i rifiuti di carta e cartone e trasformandoli in materie primeseconde per le cartiere. La materia è cambiata (non più i cenci, ma i rifiuti di carta e cartone), il principio è lo stesso: una rete diffusa di operatori regge la circolarità. L’Italia è ai vertici europei per il tasso di riciclo degli imballaggi in carta e cartone, in anticipo sull’obiettivo UE dell’85% al 2030; siamo intorno al 90% e oltre, a seconda delle annualità.
Questa è la nostra storia.
E questo è il futuro che, istituendo questa Giornata, vogliamo consegnare all’Italia.
Assisi, 18 settembre 2025
GIULIANO A. TARALLO
IL PRESIDENTE DI UNIRIMA
Conclusioni - Dife Spa
La storia dell’origine del commercio e della produzione della carta mette in luce alcuni aspetti fondamentali, ovvero, che lo sviluppo vero e proprio del settore di produzione ed espansione della carta è avvenuto solo all’interno di una società organizzata in corporazioni autonome, in un contesto aperto al nuovo e guidato dal consenso sociale, con l’obiettivo di generare valore condiviso nella comunità.
Oggi come allora, è fondamentale valutare la crescita del settore, dando peso e importanza ai risultati ottenuti, secondo le misurazioni di sostenibilità delle imprese, da condividere con l’intera società. Per questo, si è ritenuto necessario istituire una giornata nazionale dedicata al settore del riciclo della carta, così fondamentale per il nostro paese.
Oggi non vengono più raccolti scarti di tessuto come all’epoca dei cenciai ma il principio non è cambiato: la rete diffusa di operatori che raccolgono rifiuti di carta e cartone – come materie prime seconde – riprende il concetto di corporazione e il loro lavoro consente il recupero e la rigenerazione in carta riciclata.
