Quando si parla di rifiuti, l’attenzione pubblica si concentra quasi sempre su quelli urbani. Tuttavia, la parte più rilevante del sistema di gestione in Italia ed Europa riguarda i rifiuti non urbani, definiti rifiuti speciali, generati da attività produttive. Si tratta dei materiali generati da industrie, attività di costruzioni o demolizioni, attività agricole, artigianali e commerciali: un comparto che incide fortemente sia sui flussi di materia sia sulle politiche ambientali e industriali.
Secondo l’ultimo Rapporto Rifiuti Speciali di ISPRA (edizione 2024, dati 2022), in Italia sono stati gestite circa 178 milioni di tonnellate di rifiuti speciali. Nel linguaggio statistico ISPRA, “gestiti” indica i rifiuti che hanno trovato una destinazione (recupero, smaltimento o esportazione) e non coincide necessariamente con “prodotti” nello stesso anno. Di questo totale, oltre il 90% è costituito da rifiuti non pericolosi, mentre i rifiuti pericolosi si attestano intorno agli 11 milioni di tonnellate (ISPRA, 2024). La crescita della produzione è legata all’andamento economico: settori come costruzioni e industria manifatturiera, in fase di ripresa dopo la pandemia, hanno contribuito a un aumento complessivo dei volumi, sebbene nel 2023 si registri un primo rallentamento (ISPRA, 2024).
La composizione: costruzioni in testa
Tra i rifiuti speciali spiccano i materiali inerti provenienti da costruzione e demolizione (CDW), che rappresentano la frazione più consistente. Seguono fanghi civili e industriali, rifiuti solidi industriali, rifiuti da trattamenti chimici etc. Questa composizione riflette la struttura produttiva italiana, fortemente legata al settore edilizio e alla manifattura, e spiega perché l’Italia si colloca ai primi posti in Europa per quantità di rifiuti non urbani generati (Eurostat, 2024).
Il peso dei CDW non è però un indicatore negativo: a livello europeo, infatti, si tratta di una frazione che offre ampi margini di valorizzazione. L’Unione Europea riporta tassi di riciclo materiale per i rifiuti da costruzione e demolizione che in molti Paesi superano l’80%, grazie alla frantumazione e al riutilizzo degli inerti (EEA, 2024). L’Italia segue questa tendenza positiva, pur con notevoli differenze regionali nella capacità di trattamento e nella qualità del materiale riciclato (ISPRA, 2024).
Confronto Italia–Europa: qualche cifra illuminante
Nel panorama europeo, l’Italia si distingue non solo per i volumi elevati di rifiuti non urbani generati, ma anche per la quota di valorizzazione. Secondo elaborazioni su dati Eurostat (2024), nel 2022 il nostro Paese ha raggiunto un tasso di recupero complessivo dell’85,6%, mentre la media UE si attesta intorno al 61,4%
Qui è necessario un chiarimento terminologico: per “recupero complessivo” la normativa europea (Direttiva 2008/98/CE) intende tutte le operazioni che evitano lo smaltimento in discarica, includendo sia il riciclo materiale sia altre forme di valorizzazione come il recupero energetico. Il solo riciclo (che trasforma i rifiuti in nuova materia prima) è una sotto-categoria del recupero e risulta quindi inferiore.
Un altro indicatore utile è la produzione “netta” di rifiuti (dal calcolo si escludono grandi masse inerti), che in Italia è di circa 1.883 kg pro capite all’anno contro una media UE di 1.777 kg (Eurostat, 2024). Quanto all’uso di materiali secondari, l’Italia ha registrato nel 2023 un tasso di 20,8%, quasi il doppio della media europea che si ferma all’11,8% (Gruppo Lem su dati Eurostat, 2024). Questi numeri, pur da leggere con cautela per le differenze di definizione tra Paesi, indicano una maggiore integrazione di materia riciclata nel ciclo produttivo italiano.
Punti di forza e criticità
Tra i punti di forza spiccano:
- una rete impiantistica per il riciclo degli inerti che ha permesso di aumentare la valorizzazione dei materiali da costruzione (ISPRA, 2024);
- il miglioramento della tracciabilità dei rifiuti grazie al Catasto nazionale, che rende più puntuale il censimento dei flussi (ISPRA, 2024);
- l’introduzione di schemi di responsabilità estesa del produttore (EPR) in diversi settori, che favoriscono la raccolta e il riciclo di specifiche frazioni (OECD, 2024).
Le criticità riguardano soprattutto:
- disomogeneità territoriale, con il Nord e parte del Centro più attrezzati e il Sud ancora carente di impianti di selezione e trattamento (ISPRA, 2024);
- qualità del materiale raccolto, che in alcune filiere limita il riciclo di alto valore e induce esportazioni di materia seconda (OECD, 2024);
- gestione dei rifiuti pericolosi, che richiede impianti specializzati e procedure stringenti ancora non uniformemente diffusi (ISPRA, 2024);
- assenza di una rete capillare di impianti finali per il trattamento delle frazioni di rifiuti non riciclabili;
Politiche e prospettive
L’Italia si muove in un quadro normativo europeo che punta a ridurre drasticamente lo smaltimento in discarica e a incrementare il riciclo di qualità. Gli obiettivi UE prevedono, tra l’altro, il raggiungimento di un recupero del 70% dei rifiuti da costruzione e demolizione e l’uso di strumenti economici per penalizzare le opzioni meno sostenibili (EEA, 2024). L’OCSE raccomanda di rafforzare incentivi e disincentivi fiscali, introducendo ad esempio tasse su discarica e incenerimento e premi per il riciclo di qualità (OECD, 2024).
Guardando al futuro, i trend da monitorare includono l’adozione di tecnologie di riciclo avanzato, come il riciclo chimico per le plastiche industriali, e l’aumento di impianti per il trattamento dei fanghi e dei materiali da costruzione. La digitalizzazione dei processi di tracciamento, già in corso, rappresenta un altro passaggio chiave per migliorarne la trasparenza e combattere le irregolarità.