Nel quotidiano, vengono prodotti rifiuti di ogni tipo: dai più comuni imballaggi domestici fino ai rifiuti industriali.
Quando parliamo di sostenibilità, siamo portati a pensare subito al riciclo e al recupero ma la verità è che non tutti i rifiuti possono essere recuperati. E allora, cosa succede?
Lo smaltimento
Quando un rifiuto non può più essere valorizzato, si apre la strada dello smaltimento. Una fase delicata e strettamente regolamentata, che rappresenta l’ultima tappa del ciclo di gestione dei rifiuti. Ma attenzione: smaltire non è sinonimo di “gettare via”. È una scelta tecnica, normativa e ambientale, da compiere solo quando ogni altra via è stata esclusa.
Per capire quando un rifiuto va a smaltimento, bisogna partire da un punto fermo: la legge non lascia spazio all’improvvisazione. I rifiuti non possono essere abbandonati o conferiti senza criterio. Esistono norme precise che stabiliscono dove e come vanno gestiti, ed è fondamentale rivolgersi a operatori autorizzati, capaci di analizzare ogni situazione e scegliere il percorso più sicuro, nel rispetto delle regole e dell’ambiente.
Il D.Lgs. 152/200
Il riferimento principale è il D.Lgs. 152/2006 e successive modifiche, che definisce tutte le fasi della gestione dei rifiuti e le procedure per stabilirne la destinazione. Prima di decidere se un rifiuto debba essere recuperato o smaltito, è necessario passare attraverso due fasi fondamentali:
• La classificazione, ovvero l’attribuzione del Codice CER (o EER) in base all’origine e alla tipologia del rifiuto.
• La caratterizzazione, che riguarda lo studio approfondito delle proprietà chimico-fisiche del rifiuto: com’è fatto, da dove proviene, con quali sostanze è entrato in contatto, quali materie prime lo hanno generato.
Questo processo permette di comprendere se il rifiuto contiene o meno sostanze pericolose, se è infetto, infiammabile o tossico. È un’operazione complessa, ma necessaria, che permette di scegliere a quale tipo di impianto conferire il rifiuto.
Smaltimento in D
Lo smaltimento vero e proprio prende il nome tecnico di smaltimento in D, così definito dall’Allegato B del D.Lgs. 152/06. Esistono numerose operazioni, identificate da codici che vanno da D1 a D15, ciascuna con caratteristiche specifiche. Tra le principali troviamo:
• D1: deposito sul suolo, ad esempio in discarica.
• D10: incenerimento a terra, spesso utilizzato per rifiuti sanitari o pericolosi.
• D9: trattamento fisico-chimico, per stabilizzare o neutralizzare sostanze pericolose.
• D13–D15: operazioni preliminari, come raggruppamento, ricondizionamento o deposito temporaneo, in attesa dello smaltimento definitivo.
Ognuno di questi processi è regolato da normative stringenti, proprio per minimizzare l’impatto sull’ambiente e sulla salute umana. Gli impianti autorizzati devono rispettare precisi standard di sicurezza, monitoraggi costanti e obblighi documentali. Smaltire un rifiuto in assenza dei suddetti criteri può portare a conseguenze dannose sia per l'ambiente che per la tutela dell'azienda stessa.
Un capitolo a parte merita la gestione dei rifiuti speciali, una categoria ampia e complessa che comprende sia rifiuti pericolosi (tra i quali solventi, vernici, reagenti chimici) sia non pericolosi (come legno, plastiche, metalli), derivanti prevalentemente da attività industriali. Anche questi devono essere gestiti da aziende qualificate, in grado di garantire tracciabilità, sicurezza e conformità normativa.
In conclusione
Lo smaltimento è talvolta una fase essenziale per chiudere il cerchio di una corretta e responsabile gestione dei rifiuti. L'importante è conoscere le regole di una normativa complessa e affidarsi a professionisti del settore: solo così è possibile tutelare davvero l’ambiente, la salute, la sicurezza e la legalità.