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Industria e Innovazione

Greenvincible: una start-up per trasformare i rifiuti RAEE, in risorsa preziosa. 

Leggi l'articolo e scopri Greenvincible, la start-up italiana che si distingue per il suo brevetto RaeeCycling, nato per trasformare i rifiuti elettronici - un flusso costantemente in crescita e ricco di materiali preziosi - in nuove preziose risorse.

di
Alice Cutsodontis
08 maggio 2024

Con la pubblicazione del Critical Raw Materials Act (CRMA) nel marzo 2023, l'Unione Europea ha definito piani ambiziosi per promuovere l'estrazione, la raffinazione e il riciclo di materie prime critiche all'interno dei propri confini, anziché dipendere dall'estero. Il CRMA stabilisce che il 15% del consumo annuale di ogni materia prima critica debba provenire dal riciclo, enfatizzando l'importanza di rafforzare le capacità interne per la sostenibilità ambientale e la sicurezza economica. 

In questo scenario, la start-up italiana Greenvincible si distingue per il suo brevetto RaeeCycling, nato per trasformare i rifiuti elettronici — un flusso costantemente in crescita e ricco di materiali preziosi — in nuove risorse preziose

Al centro del processo di recupero di Greenvincible ci sono le schede elettroniche, fonti di oro, argento, platino e terre rare. Superando le sfide poste dalle tecnologie tradizionali, spesso costose e dannose per l'ambiente, Greenvincible ha introdotto una tecnologia completamente ecologica. Il loro metodo brevettato non solo recupera fino al 95% dei materiali contenuti nelle schede, ma permette anche di riutilizzare integralmente i componenti elettronici. 

Abbiamo avuto l'opportunità di intervistare Diego De Gaetano, fondatore di Greenvincible, per approfondire l'impatto di questo innovativo progetto per la green economy. 

Qual è stata l’ispirazione dietro la creazione di Greenvincible e del metodo RaeeCycling? 

La mia carriera inizia nel settore della consulenza aziendale, dove per circa trent'anni ho lavorato con multinazionali, principalmente occupandomi di riconversioni industriali. Questa esperienza mi ha portato a viaggiare, inclusa una significativa tappa in Cina. Là, inizialmente collaboravo con una società per supportare l'internazionalizzazione delle aziende italiane, ma ben presto abbiamo iniziato a lavorare con il governo cinese su progetti di conversione di aree agricole in zone industriali. 

Durante questa attività ho avuto modo di visitare decine di fabbriche di ogni tipo, costatandone spesso lo stato di degrado. Mi sono però reso conto che c’era un tipo di attività piuttosto fiorente che era quella che riguardava il riciclo dei rifiuti, in particolare quelli che noi chiamiamo RAEE, ma in realtà si chiamano WEEE, Waste Electrical & Electronic Equipment. 

Ho cominciato allora a capire da dove arrivasse questa enorme quantità di materiale, e ho avuto informazioni che mi hanno aperto uno scenario del tutto diverso: molti di questi materiali, in quanto difficili da lavorare per motivazioni ambientali e di sicurezza sul lavoro, vengono mandati in questi paesi, chiamiamoli terzi, dove l’occhio sulla sicurezza sul lavoro è spesso distratto. Pertanto, il riciclo di pannelli fotovoltaici o materiali RAEE, che hanno comunque una complessità in quanto sprigionano elementi che possono essere dannosi non solo per l’ambiente, ma anche per i lavoratori, vengono mandati li perché farlo nei paesi che aderiscono al trattato di Kyoto sarebbe molto costoso. Ho notato un certo fermento intorno a queste cose, anche da parte delle università che si dedicano da tempo allo studio di metodi per trattare questo tipo di oggetti.

Tornato in Italia nel 2018, ho scelto di indagare più a fondo. Ho scoperto che, nonostante l'interesse accademico, la ricerca era stagnante. Il settore era diviso tra smaltitori, che semplicemente immagazzinavano il materiale, e riciclatori, che erano pochi e ostacolati da burocrazia e normative, in un mercato ristretto. 

In sostanza le uniche lavorazioni che vengono effettuate attualmente in Italia sono pochissime, ma quelle che lavorano in questo mondo utilizzano la metodologia della fusione. I rifiuti elettronici vengono fusi a temperature elevatissime, creando quelle che tecnicamente vengono chiamate poi pere (chiamate così perché assumono questa forma una volta raffreddato il materiale), formate da tutto quello che non si volatilizza e non si trasforma. Si tratta di attività energivore sotto tutti i punti di vista, mentre il livello di risultato in termini di materia recuperata è molto basso, perché ovviamente vengono privilegiati gli aggregati da cui si ottengono più materiali preziosi, distruggendo la consistenza molecolare di quelli meno preziosi. 

Verificato uno spazio di mercato abbastanza importante, abbiamo cercato di capire, con la collaborazione di mio cugino, che è un fisico quantistico, quale potesse essere uno strumento che coniugasse nello stesso tempo una sostenibilità economica con una sostenibilità ambientale cercando di ridurre al minimo gli scarti di lavorazione e performando al massimo con una separazione alla fonte di questi materiali che poi potevano essere venduti. Da qui è nata l'idea del brevetto: un anno e mezzo di studi analizzando circa 500 brevetti a livello mondiale, abbiamo preso studi e ricerche universitarie di paesi differenti da cui è nata la stesura definitiva depositata subito dopo la costituzione della società nel giugno del 2021. Eravamo anche un po’ demotivati in quanto solitamente per l'approvazione o meno di un brevetto passavano 18 mesi: ne erano passati 27 quando è arrivata la comunicazione che ci confermava l'approvazione totale delle nostre rivendicazioni e da qui il mondo è cambiato. Abbiamo cominciato a far conoscere il nostro progetto agli operatori del settore, e al mondo della green economy in generale, ricevendo forti apprezzamenti e avviando delle collaborazioni molto importanti per la realizzazione del pilota in particolare con il Dipartimento di Ingegneria Elettronica e Meccanica dell'Università del Sannio di Benevento e con la storica Commodore Industries che ci sta aiutando nella definizione della parte di infrastruttura e di informatica, poi abbiamo avviato collaborazioni con società che operano nel settore della meccanica.

Il nostro processo ha come caratteristica quella di essere completamente un processo fisico gestito da un'infrastruttura informatica che utilizza il Deep learning, cioè la capacità di auto apprendere e poi di dare delle soluzioni che hanno la funzione esclusivamente di omogeneizzare le lavorazioni sulle singole macchine in modo che venga fatta una separazione all'origine del materiale.

Ogni scheda ha una "carta d'identità" che registra dettagli come la composizione del materiale, il produttore, la data di produzione e altre specifiche che possono essere utilizzate per ottimizzare la lavorazione.

Un aspetto chiave di questo sistema è l'uso di scanner all'inizio del processo che permettono di classificare e separare i materiali secondo la loro natura, tipologia e fornitore. Questo aiuta a massimizzare l'efficienza del processo indipendentemente dalla quantità e dalla composizione dei materiali. Il deep learning contribuisce ad auto-apprendere dalle lavorazioni precedenti, permettendo di affinare continuamente il processo per raggiungere risultati ottimali. 

Quali sono i vostri piani futuri? Avete obiettivi specifici che intendete raggiungere nei prossimi 2-3 anni? 

Gli obiettivi sono divisi in due macro step. La prima fase prevede la registrazione dell'impianto pilota (attualmente siamo in fase di sviluppo della parte informatica e abbiamo già rapporti con i fornitori). Caratteristica innovativa è peraltro il fatto di non volere ingegnerizzare da zero le singole macchine, ma di poterle mutuare da altri comparti industriali ed aver semplicemente apportato delle modifiche. La seconda fase invece è quella della realizzazione di progetti per matrici specifiche di rifiuti e quindi la realizzazione, ingegnerizzazione sulla base delle nostre tecnologie per dare risposte a singoli operatori. 

Quali sono le sfide più significative che avete o state affrontando?

Costituire un'azienda in Italia, soprattutto una start-up innovativa, presenta delle sfide peculiari che spesso navigano in acque davvero difficili. Nel nostro caso, la difficoltà maggiore, è stata quella di ottenere un riconoscimento e un sostegno adeguato da parte delle istituzioni finanziarie e degli investitori. In Paesi come gli Stati Uniti, l'ambiente è molto più ricettivo verso le idee innovative, indipendentemente dalla credibilità pregressa di chi propone il progetto. Qui in Italia, invece, il sistema è ben diverso.

La burocrazia non fa distinzioni tra una startup e una grande azienda consolidata; gli obblighi sono gli stessi per entrambe, e questo livello di uniformità normativa si rivela spesso un ostacolo significativo. Per fare un esempio, sin dalla costituzione fino allo sviluppo di un progetto, ci troviamo di fronte a una serie di complessità che richiedono risorse considerevoli, che spesso una start-up non ha. 

Un altro grande problema è la credibilità. Qui, la sfida è duplice: da una parte ci troviamo davanti a un sistema economico e bancario che è diffidente nel credere e investire in nuove iniziative, valutando spesso più la storia personale dell'imprenditore che non la validità o l'innovatività dell'idea. Dall'altra, il tessuto economico stesso sembra avere una preferenza marcata per investimenti in settori più tradizionali o già affermati, trascurando quindi le potenzialità delle idee che si scostano da questi ambiti.

Inoltre, la mancanza di un sistema di supporto strutturato implica che spesso le start-up devono affidarsi a risorse proprie, il che limita enormemente la portata e l'ambizione dei progetti. La sfida, quindi, diventa quella di affrontare questo scenario complesso cercando di mantenere la visione originale e l'innovazione al centro del nostro impegno.

Avete ricevuto critiche sulla sostenibilità aziendale interna?

Non abbiamo ricevuto critiche significative riguardo alla sostenibilità interna della nostra azienda, né in relazione alla robotizzazione dei processi. La preoccupazione che la tecnologia possa 'rubare' lavoro agli operatori non è stata un grande tema per noi, e c'è una ragione molto chiara dietro a questo.

Primo, la nostra azienda si basa su una formazione continua e su un impegno nel qualificare tutto il personale. Non è necessario essere un ingegnere informatico per lavorare con noi. Ciò che cerchiamo è la volontà di imparare e di seguire il processo; le competenze necessarie vengono insegnate durante il percorso di sviluppo professionale. Inoltre, il ruolo umano all'interno della nostra azienda rimane cruciale. Le persone non sono lì per svolgere mansioni pericolose o ripetitive, ma per monitorare e assicurare che i processi gestiti dalle macchine si svolgano correttamente e raggiungano gli obiettivi prefissati.

Secondo, abbiamo deciso di portare questa iniziativa in Calabria, nonostante le sfide logistiche e infrastrutturali. Questa scelta è stata motivata non solo da ragioni di appartenenza regionale ma anche per dimostrare che è possibile fare impresa di qualità anche in contesti meno favoriti. Questo ha un forte impatto positivo sul tessuto locale, mostrando che è possibile creare opportunità significative di lavoro e sviluppo anche al di fuori delle grandi metropoli industriali del nord.

In sintesi, la nostra esperienza mostra che la tecnologia e la robotizzazione, quando gestite correttamente, non solo non eliminano posti di lavoro, ma possono anzi creare nuove opportunità di sviluppo professionale e contribuire positivamente all'economia locale. 

Avete partnership o collaborazioni con organizzazioni esterne per promuovere la sostenibilità? 

Riguardo alla questione della territorialità e delle collaborazioni locali, posso confermare che abbiamo stretto partnership significative qui in Calabria, che rafforzano il nostro impegno verso l'innovazione e il sostegno al tessuto economico regionale. Tra i nostri partner figurano due start-up nate presso l'Università della Calabria, con le quali collaboriamo attivamente. 

Una di queste startup è specializzata nello sviluppo dell'intelligenza artificiale applicata ai processi produttivi. L'altra start-up opera nel settore del riciclo e ha giocato un ruolo cruciale nella fase sperimentale del progetto, permettendoci di condurre test di laboratorio in fasi critiche dello sviluppo del progetto. Questo ha contribuito non solo al perfezionamento delle nostre tecniche, ma anche al nostro impegno per un impatto ambientale positivo. 

Come comunicate i vostri sforzi sostenibili ai vostri stakeholder e al pubblico? 

La comunicazione dei nostri sforzi ai nostri stakeholder e la trasparenza sono aspetti che prendiamo molto sul serio, soprattutto considerando che siamo un'azienda relativamente giovane, avendo iniziato le operazioni a gennaio di quest'anno. Per quanto riguarda la comunicazione, utilizziamo principalmente la nostra pagina LinkedIn e il nostro sito internet per informare il pubblico e gli interessati sui nostri progressi. Abbiamo anche una persona dedicata che gestisce queste piattaforme.

Il nostro lavoro ha suscitato un notevole interesse, tanto che siamo stati coinvolti in varie interviste, tra cui una recente video intervista per il centro estero delle Camere di Commercio Nazionale e un'altra per UNIONCAMERE, già disponibile online. Tutte queste attività contribuiscono a mantenere alta la visibilità del nostro lavoro e a comunicare in maniera trasparente, anche se al momento i nostri stakeholder principali sono coloro che sono direttamente coinvolti nel lavoro e nello sviluppo del progetto.

Non abbiamo ancora cercato finanziamenti esterni come crowdfunding o simili perché stiamo procedendo con le nostre forze e risorse, portando avanti anche sottoprogetti, come lo sviluppo di una macchina per il riciclo delle capsule di caffè per un grande gruppo industriale.

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